L’educazione scolastica italiana è un tema su cui si discute molto e, spesso, quantomeno a furor di popolo, con toni abbastanza accesi e poco lusinghieri. Certamente tra le sue funzioni principali ci dovrebbe essere quella di introdurre i giovani nella società e proiettarli verso il successo personale e professionale. Ma quanto funziona in realtà l’orientamento al mondo del lavoro nelle scuole del Bel Paese? E, andando ancor più a fondo, da quale età sarebbe il caso di iniziare a far emergere aspirazioni e potenzialità nei ragazzi delle nuove generazioni?
Sarà forse un’affermazione un po’ da “boomer”, ma non è da escludere che il problema della disoccupazione giovanile potrebbe diventare meno opprimente se, in qualche modo, si intervenisse drasticamente sul sistema scolastico per modernizzarlo e adattarlo all’ecosistema sociale e lavorativo attuale e in continua evoluzione.
Adolescenza di ieri Vs Infanzia di oggi
Innanzitutto, siamo sicuri che sia una prassi corretta quella di iniziare a orientare gli studenti verso l’uno o l’altro indirizzo di specializzazione solo a partire dalle scuole superiori? È un dato di fatto che, di pari passo con la sempre maggiore digitalizzazione del mondo e l’imperante onnipresenza di internet, l’età media della “maturità giovanile” si è enormemente abbassata negli ultimi decenni.
Chi ha superato gli “anta” forse lì per lì non se ne rende conto, ma se proietta il proprio pensiero ai ricordi d’infanzia, si accorgerà che a quei tempi non avrebbe nemmeno potuto immaginare un futuro in cui un bambino di 5 o 6 anni sarebbe stato in grado di maneggiare con disinvoltura un affaretto elettronico più potente di un personal computer dell’epoca e in grado di dare risposte a (quasi) tutte le domande in una manciata di secondi… in quegli anni, se volevi prepararti per il compito di storia sulla vita di Garibaldi, l’unica soluzione era quella di andare a consultare un pesantissimo volume della costosissima enciclopedia che tuo padre conservava con orgoglio e maniacale cura sullo scaffale più elegante del salotto di casa!
Oggi non è più così. Grazie alla continua connessione con il mondo esterno perpetrata dal web, i bambini sviluppano alcune peculiarità caratteriali e abilità intellettive molto più in fretta rispetto al passato e, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno le idee più chiare di un adolescente degli anni 80 in merito a cosa vogliono fare e come vogliono essere. Ed è esattamente per questo motivo che è essenziale che essi abbiano una guida matura e coscienziosa che li sappia indirizzare fin dalla tenera età!
Cosa vuoi fare da grande?
Ok, siamo d’accordo, questa domanda probabilmente nelle scuole primarie si fa fin dal medioevo o giù di lì, ma va da sé che non è nemmeno lontanamente sufficiente per stabilire il potenziale futuro orientamento professionale di un bambino (anche perché la stragrande maggioranza tende ancora a rispondere “l’astronauta” e le statistiche relative alla diffusione di questa professione, allo stato attuale, non corrispondono!) 😅.
L’idea di un orientamento al mondo del lavoro a partire dalle scuole elementari è certamente un argomento spinoso. La sua attuazione si tradurrebbe in un processo educativo complesso e delicato che deve partire da precise e complesse analisi comportamentali e attitudinali effettuate da professionisti preparati. Non è certo in questa sede che si potrà rivoluzionare il sistema scolastico italiano, nessuno qui è così presuntuoso; tuttavia se riuscissimo, anche in parte, nell’intento di gettare le basi per un percorso riflessivo che possa quantomeno dare un contributo al cambiamento, non ci dispiacerebbe affatto.
Aiutare gli alunni giovanissimi a scoprire le proprie inclinazioni e aspirazioni, richiede una importante assunzione di responsabilità da parte degli insegnanti delle scuole primarie, i quali devono essere in grado di far affiorare le passioni dei bambini in modo spontaneo e obiettivo, senza forzature e suggestioni che potrebbero “inquinare” in modo più o meno dannoso il naturale evolversi del loro percorso formativo. È evidente, dunque, che alla base di una svolta decisiva deve necessariamente esserci un sostanziale bagaglio di competenze nel corpo docente.
La responsabilità degli insegnanti
Siamo davvero sicuri che coloro che hanno il compito di guidare e accompagnare i bambini nella scoperta di sé e delle opportunità che il mondo offre siano adeguatamente aggiornati relativamente alle trasformazioni in atto nel contesto socio-economico attuale?
Ora sia ben chiaro, qui non si vuole affatto alludere a una preconcettualizzata incompetenza dei maestri e delle maestre elementari d’Italia, tutt’al più si cerca di riflettere sulla possibilità che l’intero sistema scolastico sia impostato su dei modus operandi troppo poco frequentemente aggiornati e che diventano facilmente obsoleti a distanza di pochi anni. In effetti, viviamo in un periodo storico senza precedenti in fatto di dinamicità e cambiamento; tutto si evolve a una velocità alla quale è difficile star dietro senza la corretta preparazione.
Potrebbe (un condizionale è d’obbligo) trattarsi del classico “serpente che si morde la coda”: Se le scuole sono fossilizzate su metodologie superate, gli alunni sono poco stimolati e valorizzati, alcuni di loro diventano insegnanti con una formazione poco attualizzata e così via.
Da dove partire allora? Bella domanda!
Come tutte le più grandi rivoluzioni, non è da escludere che a dare il via al cambiamento sia proprio la classe media, cioè, in questo contesto, gli insegnanti; i quali potrebbero prendere l’iniziativa di mettere in pratica un metodo educativo più moderno e incentivante nelle proprie classi bypassando le imposizioni imposte da un sistema dirigenziale che, a quanto pare, non sempre è proiettato all’evoluzione.
Ad onor del vero, casi di insegnanti fuori dagli schemi ce ne sono e ce ne sono stati, ma nella migliore delle ipotesi non hanno ottenuto il riconoscimento e il supporto meritato e, nelle peggiori, sono invece stati additati come “stravaganti” (per usare un eufemismo) da qualche dirigente scolastico troppo ottuso per capire che sarebbe dovuto andare in pensione qualche decennio prima o che quantomeno avrebbe dovuto discostare più spesso lo sguardo dai suoi libri di testo impolverati risalenti all’era dello sbarco sulla luna.
È interessante, ad esempio, la storia di Maria Grazia Cipriani, una maestra dell’Istituto Comprensivo Giovanni Pascoli di Roma che, nel 2019, volle introdurre nella sua classe il metodo Montessori, basato sull’autonomia, la libertà e la cooperazione degli alunni. Il metodo migliorò notevolmente il clima e i risultati della classe, ma suscitò anche l’opposizione del preside, che lo riteneva in contrasto con le indicazioni ministeriali e con il piano dell’offerta formativa della scuola. L’insegnante dovette quindi abbandonare il metodo e adeguarsi alle direttive del dirigente… Triste ma vero!
Cosa si potrebbe fare?
È dunque un dato di fatto che le visioni dei dirigenti scolastici, che passano la quasi totalità delle loro giornate lavorative da soli nel proprio ufficio o al limite ad interagire con altri “pezzi grossi”, non sempre collimano con quelle degli umili insegnanti che, invece, vivono il contatto diretto con gli studenti nelle classi e che, ciononostante, pare ne sappiano meno degli altri su ciò che è bene per gli alunni.
Tuttavia, forse possiamo ancora sperare in una migliore accoglienza di iniziative come quella di Maria Grazia Cipriani nel futuro (soprattutto quando i succitati “dirigenti ottusi” saranno fuori dai giochi!), pertanto proviamo ad individuare alcune linee guida e buone pratiche da seguire per spianare la strada ad un corretto orientamento al mondo del lavoro nelle scuole primarie:
- Stimolare la creatività, la curiosità e la determinazione dei bambini, proponendo loro attività didattiche variegate, divertenti e sfidanti, che li coinvolgano e li appassionino.
- Riconoscere e individuare le loro inclinazioni, le abilità peculiari e le aspirazioni, osservando il comportamento degli alunni, il loro rendimento nei vari contesti didattici e le loro preferenze, senza mai influenzarli nelle scelte.
- Valorizzare le diversità, le potenzialità e i talenti dei bambini, incoraggiandoli a esprimersi liberamente (nei limiti dell’etica sociale, s’intende), a sperimentare nuove esperienze e a confrontarsi con gli altri.
- Orientare i giovani studenti con maggiore anticipo rispetto al metodo attuale verso le future opportunità formative e professionali più adatte a loro, fornendo loro informazioni chiare, aggiornate e realistiche sulle varie possibilità di studio e di lavoro esistenti, in modo che possano effettuare le loro scelte con una completa consapevolezza.
- Comunicare con le famiglie, evidenziare loro le potenzialità e le peculiarità caratteriali dei loro figli, spingendole a collaborare nel far emergere le naturali inclinazioni dei bambini anche al di fuori dell’ambiente scolastico e ad incoraggiarli.
Per svolgere al meglio questo ruolo fondamentale, gli insegnanti delle scuole primarie devono essere preparati, aggiornati e supportati. Otre ad una radicata predisposizione alla pedagogia, devono infatti possedere delle adeguate competenze trasversali in materia di comunicatività, empatia e, non meno importante, devono essere opportunamente aggiornati sulle moderne tecnologie correlate tanto al mondo dell’insegnamento quanto alla vita sociale in genere.
Sarebbe, pertanto, utile che anche maestri e maestre abbiano accesso continuo a percorsi formativi appropriati e pertinenti, che li aiutino a migliorare la qualità dell’orientamento al mondo del lavoro che offrono ai propri alunni; ma qui rientrano in gioco i “pezzi grossi”, i quali dovrebbero impegnarsi nel realizzare questo genere di progetti innovativi.
I potenziali esiti
A cosa porterebbe, infine, un approccio innovativo nell’orientamento degli studenti delle scuole primarie?
Con tutta probabilità solo a vantaggi:
- Ci sarebbero più Professionisti più qualificati perché realmente appassionati del proprio lavoro. Un individuo che è stato motivato e incentivato a capire e perseguire le proprie aspirazioni fin dalla tenera età, avrebbe molte meno probabilità di imbattersi in un lavoro che non lo gratifica e che svolgerebbe con sufficienza.
- Per i medesimi motivi di cui sopra, è ragionevole pensare che si manifesterebbe anche una sostanziale riduzione dei fenomeni del Turnover e della disoccupazione. Le persone che amano il proprio lavoro non lo abbandonano per mancati stimoli, piuttosto tendono a dare il massimo per conservarlo o, ancora meglio, per farvi carriera. Lavoratori di tal genere non temerebbero licenziamenti per scarso rendimento o per motivi economici aziendali, dato che sarebbero il cavallo vincente di qualsiasi impresa.
- La presenza di un numero sempre maggiore di specialisti competenti e menti ingegnose ben orientate, porterebbe ad un più rapido progresso tecnologico e, di conseguenza, al miglioramento del tenore di vita dell’intera società.
- Volendo invece discostarci dal tema centrale e andare più sul “filosofico”, una nazione popolata di lavoratori soddisfatti e apprezzati si tradurrebbe verosimilmente in una collettività più felice e armoniosa, meno deteriorata da condotte disdicevoli e apatia sociale frutto della frustrazione e del malcontento.
Modernizzare l’orientamento al mondo del lavoro, in una società lungimirante e proiettata al progresso economico e sociale, dovrebbe essere una priorità strategica che va ben oltre il già di per sé fondamentale benessere soggettivo dei futuri lavoratori; individuare e valorizzare oggi i talenti e le eccellenze di domani gioverebbe all’intera Nazione e introdurrebbe nella nostra società degli attori in grado di risollevarne le sorti.